Ferengi in Bruxelles

dall'Etiopia a Bruxelles senza passare dal via


Lascia un commento

Il nostro passato coloniale

L’Etiopia si considera l’unico paese africano a non essere mai stato colonizzato e di questo i suoi rappresentanti si vantano in più occasioni, ergendo la nazione ad esempio per tutti gli stati africani che si sono solo recentemente affrancati dal loro passato coloniale.

Sembra che la colonizzazione italiana non sia mai esistita per gli etiopi. Nemmeno qui ci hanno mai preso sul serio…

 


7 commenti

La filosofia del pedone abissino

Non ero sicura di averla capita appieno, la filosofia del pedone abissino, ma una chiacchierata con un amico che è in Etiopia ormai da quattro anni è stata illuminante.

Il pedone qui pensa: “La strada è di tutti” – un probabile retaggio del passato comunista – “dunque io attraverso quando mi pare. Sono le macchine che devono stare attente!”

Qualcuno può gentilmente aiutarmi a spiegare al suddetto pedone che è piuttosto insalubre attraversare senza guardare, considerando il fatto che qui la maggior parte delle auto ha più di vent’anni e che senz’altro anche i freni sono d’epoca?


Lascia un commento

Affrontare la vita mano nella mano

Non è raro qui vedere due uomini che, camminando, si tengono per mano. Mi è capitato di vedere anche due militari, in divisa e con il mitra a tracolla, che percorrevano una via mano nella mano: un atteggiamento poco marziale, che in Italia sarebbe immediatamente etichettato come una manifestazione di omosessualità.

Qui non è così. Di omosessualità non si parla, è un argomento assolutamente tabù: essere gay in Etiopia è considerato un crimine sessuale.

Affrontare la vita mano nella mano è forse solo un modo per non essere soli, come quando si è piccoli e ci si tiene stretti per non perdersi.

È una fisicità a cui all’inizio noi europei non siamo abituati: gli uomini per salutarsi, oltre a stringersi la mano, si scambiano una specie di abbraccio appoggiandosi l’un l’altro sulla spalla destra. Per strada, con un bimbo piccolo, sono in tanti a fermarsi e a tentare di accarezzarlo e persino baciarlo (con enorme disappunto del bambino… o almeno dei miei!). E a proposito di fisicità sappiate che qui, quando ci si saluta, i baci che ci si scambia sono sempre tre, e non due come in Italia.


2 commenti

On the way home – 2

Altre immagini e sensazioni sulla via di casa, che posso condividere anche grazie a Lu, che mi ha permesso di usare alcun delle sue foto per questo blog.

Questi viaggiano così per quanti kilometri prima di cadere?

Stasera vellutata di zucca per cena!

Un po’ di relax con una partita a calcetto.

E queste sono i tukul, le tipiche case che si trovano nelle campagne.


Lascia un commento

On the way home

Da Dire Dawa si ritorna verso casa: abbiamo programmato solo un’altra tappa a Nazret, per spezzare il viaggio e goderci di più la strada, che offre paesaggi ed esperienze da ricordare.

A metà del viaggio decidiamo di fermarci per fare uno spuntino: scegliamo uno spiazzo a bordo strada, lontano dal centro abitato che abbiamo appena passato, dove speriamo di mangiare in tranquillità. Dopo pochi minuti, però, intorno a noi si è già fatta una discreta folla: una trentina di ragazzini, di ritorno dalla scuola, ci circondano per vedere lo spettacolo di otto ferengi che mangiano e per chiederci penne, biscotti, acqua, birr…

Insomma, sulle strade dell’Etiopia non ci si sente mai soli: la compagnia di asini, mucche, cammelli, capre e altri quadrupedi è assicurata.

E ogni tanto c’è pure qualche bambino che ci corre dietro!


Lascia un commento

Dire Dawa e la sua ambiziosa ferrovia

Dire Dawa è una grossa città nata all’inizio del secolo scorso insieme alla costruzione della ferrovia che collegava Addis Abeba a Gibuti. Dico collegava perché ora questa opera ambiziosa è in fase di ristrutturazione, grazie anche ai fondi stanziati dall’Unione Europea: penso che sia un lavoro titanico, perché abbiamo che i binari in più punti sono messi davvero male e sono per lo più usati dai locali come camminamento attraverso i campi.

A parte alcuni edifici costruiti dai francesi e dagli italiani durante il periodo coloniale, la peculiarità di Dire Dawa sono i suoi mercati: terra di scambi e contrabbando, ha vividi mercati specializzati in elettronica, chat, cammelli…

Siamo anche andati in un supermercato per fare scorte per il viaggio che ci aspetta domani: ce lo hanno indicato come il più fornito della città, ma non è altro che una stanza con un po’ di generi alimentari di lunga durata, biscotti, pasta, succhi, e nessun frigo per i freschi. Si sente la lontananza da Addis… per fortuna che c’è almeno il “cinima”!


Lascia un commento

Ancora Harar – le porte e i mercati

Ancora qualche foto di Harar…

Una delle porte della città, vista dall’interno, e il suo mercato, pieno di odori e di colori .

 

Un’altro angolo di un altro mercato.

 

Un’altra porta della città, in ristrutturazione.

 

Il mercato della carne, il posto preferito dai falchi.


Lascia un commento

Harar Jugol

Per girare Harar decidiamo, per la gioia dei nostri bimbi, di prendere due bajaj, che ci accompagnano dentro la città vecchia, circondata da mura. Qui troviamo Hamdi, la guida che abbiamo reclutato ieri che comincia a farci camminare tra mercati e stretti vicoli dal sapore arabo.

Vediamo la casa dove Ras Tafari ha passato la sua luna di miele e visitiamo quella dove Rimbaud, il poeta, ha vissuto mentre si occupava di commerci di varia mercanzia, che scambiava anche con armi importate dalla Francia.

Andiamo anche al mercato della carne, dove alcuni falchi aspettano che i macellai lancino loro qualche pezzetto di carne: tutte le guide citano il pasto delle iene, ma anche vedere questi rapaci che planano per prenderlo al volo è un bello spettacolo per noi turisti.

Prendiamo anche un caffè in una casa tradizionale. Le pareti della stanza principale, una specie di soggiorno usato anche come stanza per la preghiera, hanno una nicchia per custodire il Corano e sono decorate con le ceste colorate tipiche della città: io ho fatto l’errore di chiedere di vederne una e ho disturbato una simpatica famigliola di scarafaggi che aveva trovato lì una confortevole sistemazione. A parte la diversa sensibilità in materia d’igiene, le persone che abbiamo incontrato sono state molto ospitali e gentili e la città ha un’atmosfera decisamente diversa da ogni altra che abbiamo visto qui in Etiopia.

Sono ormai 48 ore che non ci facciamo una doccia come si deve e decisamente non vogliamo continuare così ancora a lungo: rinunciamo a vedere il pasto delle iene e trasferiamo armi e bagagli in un hotel a Dire Dawa, che ci accoglie con camere pulite e una bella piscina.


Lascia un commento

Da Awash ad Harar

La strada da Awash ad Harar è in buono stato, almeno nel nostro senso di marcia: dall’altra parte, in salita, l’asfalto è solcato dalle ruote dei camion, sempre carichi oltre il limite consentito, che trasportano le merci dal porto di Gibuti ad Addis. Non si può però andare veloci, perché ci sono mucche, cammelli, capre facoceri, scimmie che attraversano e tante, tante persone che camminano. L’Etiopia dà l’impressione di essere un paese sempre in movimento, dove ad ogni ora del giorno si incontrano persone che si spostano a piedi, a volte con grandi carichi sulle spalle (questo soprattutto le donne, che si incontrano cariche di legna o acqua, a volte con basti in proporzione superiori a quelli degli asini).

Awash , come molte altre città che incontreremo, non è nient’altro che un gruppo di case e un ufficio delle telecomunicazioni racchiusi tra due pompe di benzina alle estremità del paese.

Quando ci fermiamo per mangiare qualcosa al bordo della strada, in uno spiazzo deserto, dal nulla ci circondano una trentina di bambini che chiedono penne, biscotti, pane… tutto! Sono insistenti, ma nessuno tenta di rubare nulla. Prima di andarcene, gli lasciamo qualche bottiglia di plastica vuota, che per loro è preziosa per trasportare l’acqua, e qualche pacchetto di cracker, che finiscono in briciole nella zuffa per accaparrarseli.

Ad Harar l’hotel è davvero penoso e così andiamo nella città vecchia per vedere se la guesthouse di cui ci hanno parlato alcuni amici può essere migliore. Parcheggiamo nella piazza principale, dove per pochi birr oltre a custodirci l’auto ce la lavano pure! Visto che siamo ferengi, intorno a noi si fa una piccola folla di aspiranti guide che si offrono di farci fare il giro della città: ci affidiamo a un ragazzo dall’aria sveglia che dice di lavorare per la guesthouse che vorremmo visitare e che ci conduce tra i vicoletti della città vecchia: dopo tre svolte noi non sappiamo più dove ci troviamo e non siamo nemmeno sicuri che lui ci stia portando nel posto giusto… Per fortuna arriviamo alla guesthouse sani e salvi: è una tipica casa di Harar, decorata con le ceste colorate, ma le camere hanno il bagno nel cortile e con i bimbi non è proprio il massimo della comodità. Ringraziamo e salutiamo la nostra guida con la promessa di richiamarlo domani, per farci vedere la città vecchia, questa volta con la certezza che non ci porterà a perdere!