Ferengi in Bruxelles

dall'Etiopia a Bruxelles senza passare dal via


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La soluzione

La foto che trovate nel post precedente è stata scattata all’angolo di una delle vie principali di Addis.

Dovete sapere che in Etiopia la manodopera ha un costo davvero ridicolo, mentre tutti gli oggetti di importazione sono molto cari, specialmente quelli di tipo elettronico che vengono tassati pesantemente. Così è molto più facile avere una guardia, un custode (qui lo chiamano zebegna) che tiene d’occhio la casa o il negozio che procurarsi un sistema di allarme. Lo zebegna, oltre a tenere lontano i malintenzionati, solitamente tiene pulita l’area di sua competenza e, nel caso in cui lavori in una casa privata, apre e chiude il cancello, consegna la spazzatura ai monatti, annaffia le piante, gioca con i bambini. È una presenza costante e, anche se all’inizio per noi ferengi abituati a vivere in appartamenti o comunque case che si riempiono solitamente solo la sera e la notte è piuttosto strano avere sempre qualcuno intorno, in un certo senso rassicurante.

Ora, che cos’è la struttura in lamiera che avete visto, molto simile ad una cassa da morto? Avete indovinato? È un rifugio notturno per le guardie, se ne vedono a centinaia qui ad Addis. Solitamente nelle case ci sono strutture in muratura, piccole guardiole dove ci sta anche un tavolino e una sedia. Ma per strada… beh, si accontentano di questo.


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Un mistero svelato

Ve la ricordate la costruzione misteriosa che si celava dietro
l’intreccio di impalcature di eucalipto?

Ecco svelato il mistero: una torre piezometrica. Si, lo so, era più bella prima, con tutti i pali intrecciati intorno 😉

Però è davvero interessante vedere una città che cresce, che si sviluppa con un ritmo forsennato, che nonostante la povertà trasmette un senso di vivida voglia di vivere. La strada dove si trova questa costruzione fino a sei mesi fa era sterrata, ora è a doppia carreggiata con tripla corsia (e per ora non c’è nemmeno un buco!). La torre serve un gruppo di case che stanno sorgendo al lato della strada e che si stanno allargando in una delle poche aree che ancora era rimasta verde all’interno di Ring Road, la circonvallazione di Addis, una zona con prati verdi dove le mucche che pascolavano sembravano non stonare con l’ambiente circostante, al contrario di quando le trovi a consumare il loro magro pasto in mezzo alla rotonda di Maganagna, un crocevia dove confluiscono cinque strade, tra cui la summenzionata Ring Road.

Ora c’è da sperare che oltre alle case vengano costruiti anche i servizi, perché lo sviluppo non sia solo edilizio ma anche umano.


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Il pedaggio sulla strada di quartiere

Stamattina sono uscita in macchina per andare in centro e ho preso come al solito una strada di quartiere che porta ad una principale. Da giorni ormai un taglio perpendicolare alla carreggiata faceva sobbalzare la macchina ogni volta che ci si passava sopra.

Mentre passavo alcuni uomini (operai?) stavano sistemando questo buco con alcune pietre. Quando sono passata, uno di loro con mi ha chiesto qualcosa in amharico mostrandomi una mazzetta di birr, tutti pezzi da uno: il pedaggio. Non so se si è trattato di un qualcosa di molto istituzionale, ma a fine mattinata il buco era aggiustato (almeno per qualche settimana dovrebbe reggere) e i costi sono stati suddivisi sulla comunità.


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Dire Dawa e la sua ambiziosa ferrovia

Dire Dawa è una grossa città nata all’inizio del secolo scorso insieme alla costruzione della ferrovia che collegava Addis Abeba a Gibuti. Dico collegava perché ora questa opera ambiziosa è in fase di ristrutturazione, grazie anche ai fondi stanziati dall’Unione Europea: penso che sia un lavoro titanico, perché abbiamo che i binari in più punti sono messi davvero male e sono per lo più usati dai locali come camminamento attraverso i campi.

A parte alcuni edifici costruiti dai francesi e dagli italiani durante il periodo coloniale, la peculiarità di Dire Dawa sono i suoi mercati: terra di scambi e contrabbando, ha vividi mercati specializzati in elettronica, chat, cammelli…

Siamo anche andati in un supermercato per fare scorte per il viaggio che ci aspetta domani: ce lo hanno indicato come il più fornito della città, ma non è altro che una stanza con un po’ di generi alimentari di lunga durata, biscotti, pasta, succhi, e nessun frigo per i freschi. Si sente la lontananza da Addis… per fortuna che c’è almeno il “cinima”!


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Ancora Harar – le porte e i mercati

Ancora qualche foto di Harar…

Una delle porte della città, vista dall’interno, e il suo mercato, pieno di odori e di colori .

 

Un’altro angolo di un altro mercato.

 

Un’altra porta della città, in ristrutturazione.

 

Il mercato della carne, il posto preferito dai falchi.


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Harar Jugol

Per girare Harar decidiamo, per la gioia dei nostri bimbi, di prendere due bajaj, che ci accompagnano dentro la città vecchia, circondata da mura. Qui troviamo Hamdi, la guida che abbiamo reclutato ieri che comincia a farci camminare tra mercati e stretti vicoli dal sapore arabo.

Vediamo la casa dove Ras Tafari ha passato la sua luna di miele e visitiamo quella dove Rimbaud, il poeta, ha vissuto mentre si occupava di commerci di varia mercanzia, che scambiava anche con armi importate dalla Francia.

Andiamo anche al mercato della carne, dove alcuni falchi aspettano che i macellai lancino loro qualche pezzetto di carne: tutte le guide citano il pasto delle iene, ma anche vedere questi rapaci che planano per prenderlo al volo è un bello spettacolo per noi turisti.

Prendiamo anche un caffè in una casa tradizionale. Le pareti della stanza principale, una specie di soggiorno usato anche come stanza per la preghiera, hanno una nicchia per custodire il Corano e sono decorate con le ceste colorate tipiche della città: io ho fatto l’errore di chiedere di vederne una e ho disturbato una simpatica famigliola di scarafaggi che aveva trovato lì una confortevole sistemazione. A parte la diversa sensibilità in materia d’igiene, le persone che abbiamo incontrato sono state molto ospitali e gentili e la città ha un’atmosfera decisamente diversa da ogni altra che abbiamo visto qui in Etiopia.

Sono ormai 48 ore che non ci facciamo una doccia come si deve e decisamente non vogliamo continuare così ancora a lungo: rinunciamo a vedere il pasto delle iene e trasferiamo armi e bagagli in un hotel a Dire Dawa, che ci accoglie con camere pulite e una bella piscina.


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Debre Libanos

Per arrivare a Debre Markos si deve passare per Debre Libanos, famosa per il suo monastero, per il ponte portoghese e per la strage che gli italiani vi compirono nel 1937 come rappresaglia per l’attentato al viceré Graziani.

Ecco qualche immagine:

Un angolo di paradiso in mezzo alle montagne.

 

Lasciatemi sola, sto riflettendo!

Il ponte portoghese.

 

I babbuini gelada.


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Un altro nuovo building

Qui ad Addis Ababa, siccome i nomi delle strade non sono ancora entrati nell’uso comune, quando cerchi un ufficio oppure un negozio, le indicazioni contengono sempre il nome di qualche building, qualche palazzo, che diventa il punto di riferimento per trovare la giusta via.

E di building ne spuntano di nuovi ad ogni angolo perché la città è in vertiginosa crescita.

Così capita, per esempio, di cercare un’agenzia di viaggi e trovarsi (e già trovarlo il palazzo, in una strada sterrata, con la sola indicazione “è il building nuovo, dietro al ministero del commercio e dell’industria”…) all’interno di un palazzo che deve essere ancora terminato, senza ringhiera delle scale, con l’ascensore non ancora in funzione, che al quinto piano ospita un bel ufficio in piena attività, con i computer, le scrivanie, i depliant, le mappe e i poster alle pareti, laborioso come un alveare. E al piano di sotto, in un grande open space, una sola scrivania, un pc collegato alla corrente con dei fili volanti e un distinto signore che ci lavora, mentre gli operai alle sue spalle finiscono di imbiancare le pareti.