Ferengi in Bruxelles

dall'Etiopia a Bruxelles senza passare dal via


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Trasporto pericoloso

Avete presente in Italia quando sulla strada incontrate un trasporto eccezionale? Macchina con il lampeggiante davanti, macchina con la segnalazione dietro, bandierine rosse e chi più ne ha più ne metta.

Questo invece è quello che si incontra sulle strade etiopi.

E l’abbiamo pure dovuto superare! Io ho chiuso gli occhi… fortuna che non guidavo!

Questa foto non è un granché, ma rende di più l’idea di come fossero state caricate le auto sopra questo camion.


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La fantasia della toponomastica

Una cosa che ho imparato presto qui ad Addis Ababa è che i nomi delle strade sono molto spesso un’opinione: se parlando con un locale o con un ferengi chiamo una via con la denominazione che ho trovato sulla mappa, semplicemente non ci capiamo. Pare infatti che i nuovi nomi delle vie non siano ancora entrati nell’uso comune… Una stessa strada viene chiamata anche con tre nomi diversi, a seconda dei punti di riferimento che utilizza la persona con cui si parla: così quella che sulla mappa si chiama Asmara road è per tutti CMC road, mentre quella chiamata Asmara road è sulla mappa Haile Gebre Selassié Street. Quella che trovo più appropriata come denominazione non ufficiale è quella di Gotera interchange, un grosso snodo stradale (per capirci uno di quelli stile highway americane, che dall’alto sembra disegnare un fiore; solo che qui siamo in Africa e l’hanno costruito i cinesi) che tutti chiamano Confusion square (e quando ci passi capisci il perché!).

Anche lo spelling delle parole varia e dipende dalla nazionalità di chi scrive. Così Kazanchis (dal nome del rione delle case Incis, quelle costruite dagli italiani dell’Istituto Nazionale per Case degli Impiegati dello Stato) può essere scritto Casa Incis, Cazanchis, Kasanchis e via con la fantasia…

Solo pochi luoghi hanno lo stesso nome per tutti, ad esempio Meskel square, la piazza più importante della città. Ma qui a complicare le cose ci si sono messi i cinesi, che hanno sbagliato lo spelling sui nuovi cartelli stradali che hanno installato!

 


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Verso il lago Tana

Durante le vacanze di Natale siamo andati verso nord, sul lago Tana. La prima sosta è stata a Debre Libanos, all’Ethio-German Resort, dove abbiamo preso  un caffè davanti ad un canyon dal panorama spettacolare.

La strada verso Debre Marcos è in cattive condizioni: per gli smottamenti e le frane, la linea di mezzeria sembra disegnata da un cantoniere con il parkinson.

Il panorama vale però la fatica: guglie di pietra che sembrano grossi denti che spuntano dalla montagna, dolci colline a più di 2000 metri di altezza, pianori dove i contadini stanno raccogliendo le messi.

Siamo arrivati a Bahir Dar dopo una giornata intera di viaggio: ormai il sole stava tramontando sul lago Tana.


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Il pedaggio sulla strada di quartiere

Stamattina sono uscita in macchina per andare in centro e ho preso come al solito una strada di quartiere che porta ad una principale. Da giorni ormai un taglio perpendicolare alla carreggiata faceva sobbalzare la macchina ogni volta che ci si passava sopra.

Mentre passavo alcuni uomini (operai?) stavano sistemando questo buco con alcune pietre. Quando sono passata, uno di loro con mi ha chiesto qualcosa in amharico mostrandomi una mazzetta di birr, tutti pezzi da uno: il pedaggio. Non so se si è trattato di un qualcosa di molto istituzionale, ma a fine mattinata il buco era aggiustato (almeno per qualche settimana dovrebbe reggere) e i costi sono stati suddivisi sulla comunità.


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On the way home

Da Dire Dawa si ritorna verso casa: abbiamo programmato solo un’altra tappa a Nazret, per spezzare il viaggio e goderci di più la strada, che offre paesaggi ed esperienze da ricordare.

A metà del viaggio decidiamo di fermarci per fare uno spuntino: scegliamo uno spiazzo a bordo strada, lontano dal centro abitato che abbiamo appena passato, dove speriamo di mangiare in tranquillità. Dopo pochi minuti, però, intorno a noi si è già fatta una discreta folla: una trentina di ragazzini, di ritorno dalla scuola, ci circondano per vedere lo spettacolo di otto ferengi che mangiano e per chiederci penne, biscotti, acqua, birr…

Insomma, sulle strade dell’Etiopia non ci si sente mai soli: la compagnia di asini, mucche, cammelli, capre e altri quadrupedi è assicurata.

E ogni tanto c’è pure qualche bambino che ci corre dietro!


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Da Awash ad Harar

La strada da Awash ad Harar è in buono stato, almeno nel nostro senso di marcia: dall’altra parte, in salita, l’asfalto è solcato dalle ruote dei camion, sempre carichi oltre il limite consentito, che trasportano le merci dal porto di Gibuti ad Addis. Non si può però andare veloci, perché ci sono mucche, cammelli, capre facoceri, scimmie che attraversano e tante, tante persone che camminano. L’Etiopia dà l’impressione di essere un paese sempre in movimento, dove ad ogni ora del giorno si incontrano persone che si spostano a piedi, a volte con grandi carichi sulle spalle (questo soprattutto le donne, che si incontrano cariche di legna o acqua, a volte con basti in proporzione superiori a quelli degli asini).

Awash , come molte altre città che incontreremo, non è nient’altro che un gruppo di case e un ufficio delle telecomunicazioni racchiusi tra due pompe di benzina alle estremità del paese.

Quando ci fermiamo per mangiare qualcosa al bordo della strada, in uno spiazzo deserto, dal nulla ci circondano una trentina di bambini che chiedono penne, biscotti, pane… tutto! Sono insistenti, ma nessuno tenta di rubare nulla. Prima di andarcene, gli lasciamo qualche bottiglia di plastica vuota, che per loro è preziosa per trasportare l’acqua, e qualche pacchetto di cracker, che finiscono in briciole nella zuffa per accaparrarseli.

Ad Harar l’hotel è davvero penoso e così andiamo nella città vecchia per vedere se la guesthouse di cui ci hanno parlato alcuni amici può essere migliore. Parcheggiamo nella piazza principale, dove per pochi birr oltre a custodirci l’auto ce la lavano pure! Visto che siamo ferengi, intorno a noi si fa una piccola folla di aspiranti guide che si offrono di farci fare il giro della città: ci affidiamo a un ragazzo dall’aria sveglia che dice di lavorare per la guesthouse che vorremmo visitare e che ci conduce tra i vicoletti della città vecchia: dopo tre svolte noi non sappiamo più dove ci troviamo e non siamo nemmeno sicuri che lui ci stia portando nel posto giusto… Per fortuna arriviamo alla guesthouse sani e salvi: è una tipica casa di Harar, decorata con le ceste colorate, ma le camere hanno il bagno nel cortile e con i bimbi non è proprio il massimo della comodità. Ringraziamo e salutiamo la nostra guida con la promessa di richiamarlo domani, per farci vedere la città vecchia, questa volta con la certezza che non ci porterà a perdere!


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Sulla via per Debre Markos

Nei giorni scorsi mio marito è stato a Debre Markos per lavoro e, visto che di negozi di souvenir non ce n’erano, per farmi un regalo è tornato a casa con un sacco di foto interessanti.

Ecco la prima serie:

Etiopia: un paese in cammino. Su tutte le strade ci sono sempre decine e decine di persone che camminano, che per spostarsi possono contare solo sulla forza delle loro gambe.

 

Spesso le donne fanno i lavori più pesanti, come trasportare pesanti carichi come questo oppure lavorare nei cantieri dove spostano pietre e detriti.

 

Quando poi si ha la fortuna di trovare un passaggio, non è detto che il mezzo di trasporto sia tra i più ortodossi…

 

…e a volte si rimane a piedi! Basta segnalare il guasto con qualche bel pietrone sulla carreggiata, altro che triangolo!