Ferengi in Bruxelles

dall'Etiopia a Bruxelles senza passare dal via


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Il lago Wenchi

A pasqua noi siamo stati al lago Wenchi.

Abbiamo fatto il trekking a cavallo, perché in nessun caso saremmo riusciti a convincere i bambini a non salire in groppa a uno di quei poveri ronzini macilenti che per la somma di 40 birr li ha trasportati per un’ora buona su un sentiero di montagna.

E ad essere onesti, non saremmo nemmeno riusciti a camminare per 4 km in salita a 2.400 metri sul livello del mare dove l’aria comincia ad essere povera di ossigeno… Non è uno scherzo, la fatica si sente davvero di più: è anche per questo che i maratoneti etiopi sono tra i più forti al mondo, perché si allenano ad altitudini dove il cuore deve faticare di più.

Certi scorci del lago ricordano quasi il paesaggio di un lago nordico…

…non fosse per la presenza endemica dell’enset, il falso banano coltivato in piccole piantagioni vicino ai tukul.


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Farmacia abissina (ma anche un po’ partenopea…)

Recentemente mi è capitato di dover comprare alcuni farmaci qui in Etiopia: premesso che mi sono portata dietro dall’Italia una farmacopea in grado di coprire dal raffreddore  alle infezioni intestinali, dal mal d’orecchi all’eritema solare, dalla febbre all’esantema, dalla diarrea alla stitichezza (prima di partire, la farmacista mi faceva dei gran sorrisi ogni volta che mi vedeva!), non avevo previsto nella casistica la puntura di riccio di mare.

Il farmacista qui ti vende solo ciò per cui tu hai una prescrizione medica, nulla di più, probabilmente qualcosa di meno. Se il dottore di ha prescritto tre pillole al giorno per sette giorni, in farmacia ti daranno solamente ventuno pillole, o più probabilmente te ne sconteranno una se i blister sono da dieci.

E se quelli sono gli ultimi blister che hanno in casa, probabilmente te ne daranno solo uno per non rimanere senza e ti chiederanno gentilmente di ripassare il giorno dopo a prendere il resto della prescrizione.

Il sistema non mi sembra male: in questo modo si evitano sprechi di medicinali (non sto qui a sindacare sulla qualità di ciò che si trova nelle farmacie abissine…) e si evita pure che le medicine vengano assunte magari a distanza di tempo in modo arbitrario e senza controllo medico. Sarebbe interessante anche in Italia applicare un sistema del genere… ma qualcosa mi dice che le case farmaceutiche non saranno mai d’accordo con questa proposta!


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Lo zabaione e gli obiettivi del millennio

Domenica scorsa eravamo a pranzo da amici (tanto per cambiare si mangia!) e per l’occasione ho preparato un dolce con lo zabaione che ha riscosso un successo fenomenale (grazie alla mamma per la ricetta spedita appositamente via email dall’Italia!).
Gli amici hanno cominciato a chiedermi “come l’hai fatto?” e io ho iniziato a spiegare: “Prepari lo zabaione a bagnomaria con sei tuorli d’uovo, sei cucchiai di zucchero e sei gusci di marsala…” ma subito sono iniziati i problemi: ma come, lo cuoci? E ci metti il marsala? E i bianchi delle uova? A quanto pare la ricetta dello zabaione in Italia varia a seconda della latitudine: in Piemonte l’ho sempre mangiato come ho scritto sopra, a Roma chiamano zabaione l’uovo crudo con lo zucchero e con le chiare montate a neve unite successivamente, a Napoli è solo uovo sbattuto con zucchero. Stranamente non c’erano stranieri al tavolo, perché sono sicura che avrebbero riportato una versione differente.
Ora io mi chiedo e mi domando: ma se tra italiani non ci capiamo su una parola come “zabaione”, come fanno i potenti della terra a intendersi su concetti quali eguaglianza di genere, fine della povertà e della fame, educazione universale, sostenibilità ambientale, collaborazione globale?


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Kaldi’s coffee

Quando ad Addis hai voglia di prendere un caffè, stare in un ambiente carino e magari mangiare qualcosa, la scelta non è ampia… Tra i posti migliori ci sono le varie caffetterie della catena Kaldi’s Coffe, dove il caffè etiope, già ottimo di per sé, viene declinato con buona fantasia in molteplici varianti ,

Il nome di questi locali deriva dalla leggenda di Kaldi e delle sue pecore danzanti : si racconta che il caffè, inteso come bevanda, sia stato scoperto per caso qui in Etiopia, nel regno di Kafa, da questo pastore che aveva visto che il suo gregge si comportava in modo agitato ogni volta che mangiava certe bacche rosse. Dopo aver provato a sua volta l’effetto delle bacche del caffè, Kaldi aveva parlato di questi effetti con i monaci del locale monastero che, bollando i frutti come diabolici, li avevano lanciati nel fuoco. Sentendone l’aroma, però, avevano cambiato idea e avevano cominciato ad usare il caffè per tenersi svegli durante le preghiere notturne. In molti Kaldi’s Coffee la leggenda è riportata a vivaci colori a decorare le pareti dei locali.

L’idea che sta alla base di questo brand non è proprio originale… il marchio dei Kaldi’s Coffee non vi ricorda nulla? Provate a guardare qui.

Ma devo dire che se non si cercano esperienze esotiche, con annesso rischio di mal di pancia, anche se non è così autentico funziona, davvero.


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Un altro capodanno

Dopo aver festeggiato la fine del Ramadan, il capodanno etiope, il Natale cristiano, il capodanno europeo, il Timkat e San Patrizio patrono d’Irlanda non potevamo farci mancare il Songkran, il festival dell’acqua che celebra l’arrivo del nuovo anno in Tailandia.

Dopo l’immancabile cena (la maggior parte della gente al di sopra dei trent’anni associa l’Etiopia con le immagini della carestia… ma qui non facciamo altro che mangiare!), l’imprescindibile lotteria e gli irrinunciabili balli tradizionali la serata è finita a battaglia con le pistole ad acqua perché secondo la tradizione bagnare le altre persone porta fortuna!


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Parchimetro umano

Quando parcheggi in città, nulla ti dice se sei in una zona a tariffazione (o almeno nessun cartello te lo dice in caratteri latini…) ma quando ti allontani dalla macchina come dal nulla si materializza un addetto che infila sotto al tergicristalli un piccolo bigliettino con scritta l’ora in cui sei arrivato. Al momento di andartene, lo stesso ricompare dal nulla (ora che ho imparato, per non fare la figuraccia di quella che vuole scappare senza pagare, mi guardo intorno prima di salire in macchina e lo cerco, l’addetto) e ti si para davanti alla macchina, reclamando cinquanta centesimi per ogni mezz’ora di parcheggio.

A volte, quando lascio la macchina solo per alcuni minuti per andare a comprare il latte, è una gara a chi è più veloce, se io a fare gli acquisti o il parcheggiatore a trovarmi e a rifilarmi il bigliettino!


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Anche questa è Etiopia

Capita la mattina alle 8.30 di trovarti in banca e di scoprire che il sistema informatico è “down”, senza che nessuno sappia dirti quando e se ritornerà in funzione.

E mentre cerchi di capire per quanto si protrarrà il guasto, capita di scambiare quattro chiacchiere con una bionda signora dall’accento americano che condivide con te l’attesa. Si parla dei soliti argomenti: da quanto sei in Etiopia, dove stai, da dove vieni. Lei è stata di recente in Italia e non si stanca di dirmi quanto sia bella tutta, dalle montagne alle coste, e quanto si mangi bene (non ho ancora sentito uno straniero che mi dica il contrario… perché noi italiani invece denigriamo così tanto la nostra patria?).

Capita di parlare di cosa si fa, qui in Etiopia. Lei è un’infermiera e lavora in un villaggio a tre ore di strada da Jimma, in un posto che persino il Padre Eterno si deve essere scordato di aver creato. Le piace il suo lavoro, ne parla con entusiasmo anche se deve operare in condizioni difficili. Capita ancora, mi dice, di non comprendere come le persone qui possano morire per dei motivi che, per noi occidentali, sembrano così stupidi. Come un bambino possa morire di dissenteria. Come una donna possa morire dando alla luce il proprio figlio. Anche questa, purtroppo soprattutto questa, è Etiopia.

Ma poi capita che il cassiere della banca si sia dia da fare per farci ritirare i nostri soldi, nonostante il sistema ancora non funzioni.

Capita che lei mi saluti calorosamente dicendomi “good luck!” e se ne vada sorridente verso il suo impegno. Anche questa, per fortuna, è Etiopia.

p.s.: grazie a Pino per la foto!

 


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La fantasia della toponomastica

Una cosa che ho imparato presto qui ad Addis Ababa è che i nomi delle strade sono molto spesso un’opinione: se parlando con un locale o con un ferengi chiamo una via con la denominazione che ho trovato sulla mappa, semplicemente non ci capiamo. Pare infatti che i nuovi nomi delle vie non siano ancora entrati nell’uso comune… Una stessa strada viene chiamata anche con tre nomi diversi, a seconda dei punti di riferimento che utilizza la persona con cui si parla: così quella che sulla mappa si chiama Asmara road è per tutti CMC road, mentre quella chiamata Asmara road è sulla mappa Haile Gebre Selassié Street. Quella che trovo più appropriata come denominazione non ufficiale è quella di Gotera interchange, un grosso snodo stradale (per capirci uno di quelli stile highway americane, che dall’alto sembra disegnare un fiore; solo che qui siamo in Africa e l’hanno costruito i cinesi) che tutti chiamano Confusion square (e quando ci passi capisci il perché!).

Anche lo spelling delle parole varia e dipende dalla nazionalità di chi scrive. Così Kazanchis (dal nome del rione delle case Incis, quelle costruite dagli italiani dell’Istituto Nazionale per Case degli Impiegati dello Stato) può essere scritto Casa Incis, Cazanchis, Kasanchis e via con la fantasia…

Solo pochi luoghi hanno lo stesso nome per tutti, ad esempio Meskel square, la piazza più importante della città. Ma qui a complicare le cose ci si sono messi i cinesi, che hanno sbagliato lo spelling sui nuovi cartelli stradali che hanno installato!

 


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Un’altra Africa

Com’è il Kenya? È tanto diverso dall’Etiopia?

Questa è la domanda che la maggior parte delle persone etiopi che conosco e che non sono mai state all’estero mi hanno fatto quando sono tornata da Mombasa.

Il Kenya, per chi vive in Etiopia, è un’altra Africa. O per lo meno lo sono le città, in cui si percepisce un fervido  sviluppo economico e una forte impronta europea: in fondo, gli inglesi sono rimasti nel paese fino al 1963.  Nei supermercati si trova una buona scelta di prodotti occidentali a costi ragionevoli, il parco auto è abbastanza moderno, le strutture alberghiere sono di buona qualità. Ma soprattutto il Kenya ha il mare, uno splendido oceano indiano che sembra tirato fuori dall’illustrazione di un catalogo di un tour operator. E con il mare tutto ciò che ne consegue: spiagge infinite di sabbia bianca, pesce fresco di tutti i tipi, una barriera corallina che con la bassa marea si può andare a vedere a piedi… davvero un sogno.

Naturalmente tutte queste cose ai miei amici etiopi non le ho dette, limitandomi a delle mezze verità (“il Kenya è diverso dall’Etiopia…”) che non ferissero troppo il loro orgoglio nazionale!