Ferengi in Bruxelles

dall'Etiopia a Bruxelles senza passare dal via


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Siamo tutti sotto lo stesso cielo

Di ritorno dalle vacanze di Pasqua negli Emirati Arabi Uniti, la mia mamita mi ha accolto con una novità: “Vado a Dubai a lavorare”, mi ha detto con un sorriso e gli occhi pieni di pianto. Andrà a fare la cameriera in un ristorante, mi spiega mentre cerca di ricacciare indietro le lacrime, ha un’amica là che le ha trovato questo impiego.

Ho già parlato in un altro post dei molti etiopi che emigrano nei paesi ricchi della penisola arabica per cercare lavoro. Tante sono ragazze: ne avevamo l’aereo pieno quando abbiamo volato verso Dubai. Ragazze al loro primo volo, che al minimo scossone si trasformano in maschere di cera per il terrore; ragazze eccitate e fiduciose per la nuova vita che le attende, spesso per la prima volta lontane dalla loro famiglia; ragazze con gli occhi pieni di lacrime per la nostalgia del loro paese e della loro gente.

Ho visto tutto questo, e anche di più, negli occhi della mia mamita ieri, quando mi ha salutato prima della partenza. Tra baci, abbracci, lacrime e sorrisi ho trovato paura, speranza, nostalgia, gratitudine.

Le stesse sensazioni che leggo sul volto degli amici expat che partono per una nuova destinazione: inquietudine per il fatto di dover ricominciare una nuova vita, in un nuovo paese, tutto daccapo; aspettativa per le mille possibilità che si possono aprire; tristezza per gli amici che si lasciano; gratitudine per tutto ciò che il paese ospite e le persone incontrate hanno offerto.

Noi expat di solito ci muoviamo con una situazione economica solida alle spalle, questi emigranti partono con la loro valigia e con la speranza di guadagnare qualche soldo e di poter tornare in patria pagando di tasca propria il loro biglietto aereo. Ma mi sembra che in fin dei conti i sentimenti legati all’expatriation siano gli stessi per tutti quanti.


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Cercar fortuna a Dubai

Domenica una dei nostri guardiani si è licenziato. Mentre eravamo in casa a passare pigramente il pomeriggio, lui si è timidamente affacciato alla porta della cucina e, con la tipica riluttanza che contraddistingue il carattere etiope, ci ha detto “Io ho finito”. Non abbiamo subito capito che cosa volesse dire: era arrivata la fine del suo turno di lavoro? Lo abbiamo fatto accomodare in casa e ci ha spiegato tutto.
Abraham è un ragazzone alto e con il phisique du rôle per fare la guardia, ma è sempre stato decisamente poco marziale: ogni tanto lo trovavi disteso sul prato con i bimbi che gli saltavano addosso per giocare oppure con loro in braccio mentre li faceva volare in alto nel cielo. Può avere circa trent’anni, ma qui è difficile stabilire l’età di una persona, vuoi per la pelle senza rughe che gli etiopi hanno la fortuna di avere, vuoi per la mancanza nella maggior parte del paese di un’anagrafe affidabile che permetta una registrazione delle date di nascita.
Abraham andrà a cercare fortuna a Dubai per mettere via un po’ di risparmi e tornare per farsi una famiglia: non vuole andarsene per sempre, è solo che qui per lui le opportunità per migliorare il suo status semplicemente non esistono. Come due genitori premurosi io e mio marito ci siamo informati su come ha trovato il lavoro, se ha già ottenuto il visto, se ha una sistemazione, se la ditta che lo ha assunto è seria… si leggono storie terribili di immigrati che pagano cifre astronomiche per attraversare la frontiera e ed essere portati dall’altra parte del Mar Rosso, tra stenti e patimenti di ogni genere. Gli immigrati illegali qui condividono la stessa sorte che spetta quelli che attraversano il Mediterraneo in cerca di una vita migliore.
Ci mancherà, Abraham.
Penso a quando siamo partiti noi dall’Italia: abbiamo impacchettato la nostra casa dentro un container e una volta arrivati a destinazione abbiamo atteso con trepidazione di poter riavere i nostri mobili, gli oggetti di uso quotidiano, i giochi e i libri, per ricreare la sensazione di essere nel proprio nido, per poter chiamare casa un luogo sconosciuto. Abraham partirà con una valigia o poco più, tanto ci vuole per contenere il suo mondo: dentro ci sarà anche una foto della nostra famiglia, che lui ci ha chiesto per tener vivo il nostro ricordo. Mi viene da pensare che le nostre relazioni, le nostre amicizie stanno diventando come una grande tela di ragno che pian piano avvolge tutto il mondo e ci collega all’Italia, a Dubai, agli Stati Uniti, alla Svezia, a Hong Kong, al Sudan, alla Repubblica Centrafricana…